Ebbro di donne e di carriera
Marco lavora nel settore marketing di una importante azienda di cosmetici, a Londra, ed è un manager di discreta importanza. Ma la crisi economica grava anche sui manager: così, dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, che ha perso il lavoro e vuole tornare con il suo ex, a Marco viene chiesto di recarsi a Milano, dove incontrerà il "grande capo" dell'azienda, un signore tedesco maniaco della puntualità. Marco è convinto di essere a un passo dal licenziamento, e invece riceve una promozione: sarà lui a dirigere il settore marketing, ma il rovescio della medaglia è rappresentato dall'obbligo di licenziare alcuni dipendenti, compito che gli spetta in quanto nuovo capo della sezione.
Non sarà facile, anche perché nella sua vita irrompono a più riprese quattro donne affascinanti che, in un modo o nell'altro, nutrono per lui un certo interesse...
Stavolta la commedia è "sofisticata"
I fratelli Vanzina continuano a recitare il ruolo dei grandi incompresi, accerchiati e osteggiati dalla spocchiosità dei critici cattivi che non li capiscono, ma la verità è che l'inconsistenza del loro cinema salta agli occhi soprattutto quando tentano la strada della commedia "sofisticata" e con risvolti sociali, come la storia di un manager single preso fra turbinii amorosi e la crisi economica imperante: è proprio così in Ti presento un amico, film che già nell'ambientazione (una Milano spesso notturna, in bilico fra modernità metropolitana e deliziosi scorci storici) tenta di ricalcare il modello delle grandi commedie romantiche contemporanee, quelle in cui la città respira e pulsa e agisce alla pari dei personaggi stessi. Ed è forse l'utilizzo "espressivo" della metropoli l'unica ragion d'essere di un prodotto che, per il resto, annaspa fra caratteri poco interessanti, humour debolissimo e ritmi comici inesistenti, soffocati da una struttura narrativa che poggia per intero su uno schema rigido e reiterato: ogni scena si risolve infatti in un incontro ridicolmente casuale fra il protagonista e un altro personaggio - spesso una delle sue disinibite corteggiatrici - al quale segue poi una catena di dialoghi piatti e tediosi, nell'estenuante tentativo di sviluppare e infine chiudere l'intreccio. Tutto qui. Non c'è alcuna forma di empatia, e l'umorismo si limita a figure macchiettistiche e a qualche sequenza vagamente slapstick, peraltro girata senza un minimo di senso comico nella messa in scena. Più che altro fa sorridere - ma in modo involontario - l'aria perennemente stralunata con cui un Raul Bova ai minimi storici viene rimbalzato da un'amante all'altra, un quartetto femminile di attrici note e poco convinte del proprio ruolo; dispiace in particolare per Barbara Bobulova e per la fascinosa Kelly Reilly, abituate a film di ben altro spessore.
Messaggino finale di retorica sui sentimenti: conta l'amore, non il successo. Quanta grazia, in una storia che cerca di consolare chi è rimasto a piedi per colpa della crisi...