I giorni dell’arcobaleno
Dopo quindici anni di dittatura, il generale Augusto Pinochet indice un referendum. Sotto la pressione della comunità internazionale, il dittatore si vede costretto a legittimare la propria posizione di potere attraverso libere elezioni. Il referendum che si svolgerà il 5 ottobre del 1988 dovrà stabilire la fine del regime del generale oppure consolidarne il potere, rieleggendolo per un mandato di otto anni.
I leader dell’opposizione si prodigano per organizzare la campagna referendaria per il no alla conferma di Pinochet e si rivolgono a Renè Saavedra (Gael Garcìa Bernal), un giovane e geniale pubblicitario.
Malgrado le iniziali perplessità, Renè confeziona una sorprendente e ambiziosa strategia per vincere le elezioni, ma dovrà scontarsi con il suo capo, Luis “Lucho” Guzmàn (Alfredo Castro), a capo della campagna per il sì.
Chile la Alegria ya viene
A quasi un anno dalla presentazione al Festival di Cannes, dove ha vinto il premio principale della sezione collaterale Quinzaine des Rèalisateurs, arriva nelle nostre sale No – I giorni dell’arcobaleno, nuovo film di Pablo Larrain.
Basandosi sulla pièce teatrale di Antonio Skarmeta, The Referendum, Larrain giunge alla conclusione della sua trilogia sul Cile soggiogato dalla dittatura del generale Augusto Pinochet. Tony Manero racconta il momento più violento e cupo del regime, incarnato da un omicida seriale con l’ambizione di imitare il protagonista de La febbre del sabato sera; Post Mortem ci mostra la caduta di Allende e il conseguente colpo di stato militare attraverso gli occhi di un anonimo funzionario delle pompe funebri; No chiude il cerchio parlando della campagna referendaria che pose fine a quindici anni di totalitarismo.
Appassionato e sentito, No è un film profondamente politico ma non ideologico; affronta la realtà del periodo mettendone in evidenza le variegate sfumature e le più sottili contraddizioni. Per fare ciò Larrain si affida principalmente alla componente visiva e a un’estetica studiata sapientemente per la messa in scena in continuità di passato e presente: materiale di repertorio e ricostruzione filmica si fondono e confondono tra loro, risultando alla fine sovrapponibili.
Larrain utilizza, infatti, lo stesso formato dei filmati d’archivio che si trovano nel film e le scene girate oggi sono state realizzate con il sistema in uso allora, con macchine da presa Ikegami, una bassa definizione e un formato in 4:3. Operando in tale maniera, Larrain avvicina quell’epoca alla nostra e viceversa, mettendo in rilievo gli aspetti più ambigui della campagna referendaria e le relative conseguenze sulla società cilena contemporanea.
Il pubblicitario Renè Saavedra è figlio del sistema neoliberale imposto da Pinochet e per sconfiggere la dittatura ne utilizza gli stessi strumenti ideologici, la stessa grammatica visiva, lo stesso ostentato ottimismo, costruito e fasullo.
Saavedra sfida gli uomini politici a sostegno del no: questi vorrebbero una campagna che ponga in evidenza gli orrori della dittatura (le torture, la disoccupazione, i conflitti sociali, i desaparecidos); il pubblicitario risponde confezionando una serie di spot colorati, corredati da jingle accattivanti e da belle facce allegre e danzanti.
La propaganda pubblicitaria funziona in quanto ben confezionata e latrice di un messaggio di speranza e rinascita. Il regime si vede sorpassato sul proprio terreno e cerca di rimediare confezionando una campagna goffa, all’inizio scimmiottante quella per il no e poi votata al discredito degli avversari.
Larrain ci mostra come la campagna per il no abbia rappresentato un momento di liberazione democratica, ma anche un primo passo verso il consolidamento del capitalismo come unico sistema possibile in Cile. La pubblicità diventa strumento imprescindibile legato alla politica e alcuni dettami del sistema neoliberale lungamente combattuto diventano propri del linguaggio dell’opposizione. La via d’uscita dalla dittatura è perseguita con la stessa mole di bugie e vacue immagini edificanti proposte dal regime, nascondendo tragedie e paure dietro la posticcia lucentezza di un arcobaleno. E lo sguardo finale di Gael Garcìa Bernal esplicita un senso di amarezza e di inquietudine dinnanzi a una vittoria politica insperata e fortemente voluta, ma ottenuta sacrificando parte del proprio idealismo.
La felicità e l’allegria promesse sono state raggiunte? Una fase realmente nuova si è davvero aperta per il Cile post Pinochet? I crimini della dittatura sono stati realmente chiariti e puniti? Mostrandoci il passato e le sue contraddittorietà irrisolte, Larrain guarda al presente, e lo fa regalandoci un film straordinario, dolente e partecipe, amaro e indimenticabile.