Incompresa

Voto: 3/5 - 
Titolo Originale: Incompresa
Un film di Asia Argento. Sceneggiatura: Asia Argento, Barbara Alberti
Genere: Drammatico - Italia (2014) Durata: 109min.
Produzione: Wildside, Rai Cinema. 
Distribuzione: Good Films
Aria è una bambina di 9 anni che si ritrova suo malgrado a vivere una violenta separazione dei suoi genitori, che non la amano quanto lei vorrebbe. Strattonata dal conflitto tra il padre e la madre, Aria attraversa la città con una sacca e un gatto nero, sfiorando l’abisso e la tragedia, al solo scopo di salvaguardare la propria innocenza.

Incompresa, diretto da Asia Argento e scritto a quattro mani dalla stessa regista in collaborazione con Barbara Alberti, rappresenta la seconda avventura della figlia d’arte alla regia, dieci anni dopo Ingannevole è il cuore più di ogni cosa. Il film è stato presentato in concorso al 67° Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard.

Prima di tutto è d’obbligo una premessa: Incompresa non è (e non pretende di essere) un remake della pellicola di Comencini, quell’Incompreso che aveva fatto versare più di una lacrima a bambini e adulti. I temi trattati, seppur partendo da una base comune (e ultimamente questa base la sfruttano in tanti), viaggiano su binari ben distinti. Il titolo del film, quindi, non va al di là del semplice omaggio. Incompresa, inoltre, non è assolutamente quel film maledetto, denso di atmosfere dark, che molti si aspettavano da Asia Argento (la paura di trovarsi di fronte ad un Thirteen di Catherine Hardwicke, portato all’estremo con protagonista una bambina di soli 9 anni, era forte); è, al contrario, una storia molto sincera; personale, se non quasi autobiografica (nonostante le continue smentite da parte della regista). Ogni interprete si trova al posto giusto. Un plauso alla sorprendente Giulia Salerno, nel ruolo di Aria, e alla sempreverde Charlotte Gainsbourg, che interpreta la madre. Suscita, in fondo, una gran simpatia anche il padre, interpretato da Gabriel Garko, nel ruolo di un attore in crisi, esageratamente superstizioso (la presenza di un elemento ironicamente autobiografico in questo caso è indiscutibile: riuscirà mai il povero Gabriel a staccarsi da quella serie infinita di fiction televisive fatte con lo stampino e ad ottenere un Vero Ruolo?).

Il film mantiene un ritmo godibile per quasi tutta la sua durata. Asia Argento, infatti, adopera un furbo strattagemma per l’occasione: come Alexander Payne aveva deciso, per Nebraska, di adottare il bianco e nero perché lo spettatore si concentrasse sul rapporto padre/figlio, piuttosto che sugli immensi paesaggi da classico road movie, Asia opta per un’ambientazione negli anni Ottanta, ma senza scendere al livello del film “in costume”. Le atmosfere di quegli anni si possono solo percepire da lontano, soprattutto grazie ad un’ottima colonna sonora che si limita alla musica di nicchia di quel decennio. Ciò che più emerge, quindi, non sono i colori o le canzoni, ma i sentimenti. Ottime prerogative, che purtroppo vengono mantenute solo fino alla metà del film; da questo punto, infatti, i luoghi comuni cominciano ad essere sempre più presenti; e sempre più fuori posto.

Il tutto culmina con un messaggio di Aria, precedente i titoli di coda, in cui (e in questo caso non c’è smentita che tenga) è chiaramente Asia Argento a rivolgersi al pubblico, in un appello a non considerare la sua storia solamente come vittimismo; una conclusione, insomma, che sarebbe stato meglio evitare, senza nulla togliere al resto del film.
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