Serena è un talentuoso architetto, attiva all’estero. Dopo numerosi successi, riconoscimenti accademici da Pechino a Mosca, decide di tornare in terra natìa, a Roma, per amore del proprio Paese. Nel cercare un posto di lavoro Serena incoccia dinanzi a due situazioni: la conoscenza di Francesco, un uomo affascinante del quale subito si invaghisce, e la volontà di presentare un progetto che potrà rilanciare la propria carriera di architetto in Italia. Purtroppo, però, a Francesco piacciono gli uomini e il lavoro di Serena non verrà mai commissionato ad una donna. In una serie di inganni e di segreti condivisi, la coppia si muoverà per fingersi qualcun altro e raggiungere il proprio obiettivo.
Riccardo Milani affronta per l’ennesima volta il tema caro alla commedia italiana: il non essere accettati, il non sentirsi parte di un ecosistema filo-tradizionalista e tendenzialmente fascista. Se sei donna devi fingerti uomo per avere successo, se sei gay devi fingerti etero per trionfare nel nostro Paese, quello che quando viene nominato all’estero fredda i presenti e congela l’animo altrui. È debole il tentativo, perché nel gioco di scambi non c’è divertimento, non c’è la letizia che avrebbe potuto e dovuto accompagnare la visione, ma soltanto una narrazione che conduce lo spettatore fino alla fine, senza un quid pluris che possa scatenare una soddisfazione tale da riflettere su un messaggio di fondo, che in sostanza non esiste.
La scelta di Milani, poi, di giocare sulla celebrazione di Raoul Bova è esasperante: la visione può essere duplice, perché si potrebbe sorridere del modo in cui l’attore romano percorre la sua passerella, dalle lucide scarpe nere fino al vapore che lo pervade al suo attraversare i fornelli, così come si potrebbe sbuffare dinanzi a tanta sfarzosità inutile, per un sex symbol che oramai è noto e non ha bisogno di ulteriori riflettori. Dall’altro lato lodevole la prestazione della Cortellesi, che indossa la maschera dell’abruzzese, adottando un dialetto non troppo distante dal suo naturale, ma che comunque la costringe a una recitazione diversa per l’intera pellicola. L’attrice conferma il suo ruolo di trasformista, pur non indossando maschere e senza collocarsi necessariamente accanto a tutti gli eredi della commedia dell’arte che l’Italia può vantare in questo momento: il personaggio dell’architetto di successo è altalenante in questa visione, perché dal successo ottenuto a Londra, da donna in carriera e capace di dirigere cantieri anglofoni, Serena Bruno si ritrova in una vita di approssimazione professionale fino alla soluzione - tipica italiana - che è figlia della creatività e non della sua caparbietà.
Al di là, insomma, delle discrepanze offerte dall’evoluzione dei personaggi, con lo stesso Bova in bilico tra il ruolo di sex symbol prima e banale poligamo dopo, la commedia di Milani è piacevole da vedere, ma non vuole esaltarsi in nessuno dei suoi punti, nemmeno nella furbizia del figlio di Bova e tantomeno nella superflua storia d’amore tra la Cortellesi e un ritrovato Corrado Fortuna (il Tanino Mendolla di Virzì). La commedia italiana quest’anno ha vissuto numerosi alti e numerosi bassi, è dai primi che bisogna ripartire evitando i secondi, troppo spesso figli di cliché narrativi o di volgarità narrative: Scusate se esisto! si colloca perfettamente nel primo filone cinematografico, perché d’altronde Milani ci aveva già provato a farci la predica in Benvenuto Presidente!. Probabilmente non gli è bastata, però a noi sì.