Un pensierino l’avevano fatto tutti, mentre sentivano sul viso il vento in poppa che ha sollevato dalla sua culla di garbo e poco rumorosa dignità per portarlo in cima al mondo. E se fosse lui a cantar d’Italia all’Eurovision?
Alla fine è successo, sarà lui, una impossibilità che diventa possibile, un assurdo teorico che diventa reale, e nel delirio di effettoni e declamazioni folk-nazionaliste che è l’Eurovision potrebbe addirittura essere un piccolo minuto prodigio, comunque una magia, perché ha da raccontare una fiaba, o meglio un dato di fatto incontrovertibile che sembrava non più possibile nel brutale e iper-socializzato mondo della musica: le favole esistono, eccome.
Perché Lucio Corsi è una favola, e non fatevi ingannare dalla sua consistenza fisica, materiale, io stesso posso dire di avergli stretto la mano, ma è pura illusione perché Lucio Corsi non esiste nella realtà, ha la consistenza eterea delle favole, è un neo di Pierrot sospeso tra la mezza luna e , è un “c’era una volta un duro che non voleva essere un duro”, è un apostrofo posto tra le parole “t’adoriamo” che improvvisamente tutta Italia vuole pronunciare.
E quindi perché no, tra la vincente e poderosa certezza che avrebbe portato e le muscolari fanfare di tutta Europa potrebbe farci fare una splendida figura uno che di vincere non gliene frega niente e vince proprio per questo, come si usava una volta, quando perdere era nobile, era giusto, era eroico, era molto più educato, e poi perché ci permette di sognare uno scenario fantastico. Vincerà, non vincerà? Arriverà secondo. arriverà ultimo? Inezie, quisquilie. Quello che conta è che comunque vada, per la prima volta nella storia noi all’Eurovision non mandiamo un cantante, ma una favola, e scusate se è poco.
Fonte: La Repubblica